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Data

30 September 2023

Scritto da

Francesca Battistella

In memoria di un Amico

Quando le persone ci lasciano portano con sé ricordi condivisi che temiamo di perdere insieme a loro, ma non dev’essere per forza così.


Molti, ma proprio molti anni fa - nel 1975 per la precisione - i miei genitori decisero di acquistare una casa per le vacanze. Vacanze che includevano anche i fine settimana, non importa in quale stagione. Abitando a Napoli, la scelta cadde su un piccolo paese poco dopo Sorrento e la ‘casa’ diventò un piccolo, delizioso appartamento in un piccolo condominio affacciato su un bosco di limoni e delimitato da una lunga terrazza sulla quale si affacciavano - e si affacciano tuttora - tutte le stanze. Ingresso separato, piano rialzato. La vista, quella che ancora oggi posso godere, è su Capri a sinistra e Ischia di fronte, nel punto in cui d’estate tramonta il sole tingendo di rosso carminio l’orizzonte. È sempre stato un buen retiro, oggi forse meno silenzioso di un tempo, ma di immutata bellezza. I nostri vicini di casa, dalla parte opposta della corte interna, erano una coppia singolare. Lei inglese, unica figlia femmina di un medico di Liverpool - poi c’erano tre fratelli -, lui un pescatore del posto: Priscilla, per tutti Cilla e Mario, per tutti Maruzziello, come la sua barca giù al porto. All’epoca avevano una bimba di tre anni, Francesca, che parlava un divertente mix di anglo-napoletano, si sedeva sulle scale che portavano al nostro alloggio e mi intratteneva con racconti di famiglia. Non sono mai stata un’amante dei bambini. Lo sono diventata con gli anni, ma lei era spontanea, divertente, speciale. Poi, una dopo l’altra, sono arrivate le sue sorelle: Giuliana e Alessandra.

 

Cilla aveva conosciuto il suo Mario alcuni anni prima. Ragazza au pair presso una ricca e nobile famiglia romana con villa a Sorrento, un giorno d’estate era stata spedita con le bambine che curava giù al porto per una gita in barca e il barcaiolo era Mario. A quei tempi, oltre a pescare, faceva anche questo. Credo sia stato un colpo di fulmine reciproco. Lo ricordo cinquant’anni fa, bellissimo. Occhi blu come il mare al largo, fisico atletico, capelli neri, sempre abbronzato. Lei, alta, bionda, molto british. Una donna di formidabile intelligenza e meraviglioso carattere. Anche nei momenti peggiori non l’ho mai sentita lamentarsi. Mia madre provava un grande affetto per entrambi. A volte, d’estate, tornando a casa dopo una cena fuori, quando li vedeva seduti al tavolo del soggiorno a parlare, mi diceva: Vedi, solo le coppie molto unite fanno così: si parlano sul serio. Mio padre s’intratteneva spesso con Mario in facezie e commenti. Anni dopo la sua morte, Mario lo ricordava ancora con un sorriso. Diceva che lo metteva di buon umore, che aveva una battuta per ogni occasione.

Di rado mi è capitato di vedere una famiglia così unita. Quando Cilla era fuori per lavoro - per anni ha fatto la guida turistica - Mario, che usciva di notte a pesca, ma di giorno era a casa, cucinava per le figlie e capitava che, se ero da sola, m’invitassero a pranzo. Ottimo cuoco, ottimo padre. Prendeva in giro le ragazze, i loro fidanzati, le loro piccole manie. Le faceva ridere. E loro lo adoravano. Credo si siano sempre sentite amate senza riserve da entrambi i genitori, mai ostacolate nei loro progetti o sogni, libere di scegliere la vita che volevano. E l’hanno fatto, con coraggio, sicure del sostegno incondizionato di mamma e papà, dei loro buoni consigli. Qualche volta - si sa come vanno le cose in un piccolo paese del Sud Italia - i conoscenti chiedevano a Mario: ma non avresti voluto un figlio maschio? Manco morto! Rispondeva. Sono felice così. Il mare era la sua vita, il suo elemento, la sua gioia. Ne aveva rispetto sebbene in qualche occasione se la fosse vista brutta. Ma era anche un uomo capace di divertirsi con gli amici e ne aveva tanti. Era disponibile, presente, costantemente pronto a risolvere i problemi degli altri. Forse meno i suoi, soprattutto quelli di salute.

 

Per molte estati, fino a quella dell’anno passato, Cilla organizzava un pranzo con noi e altri amici, nella nuova casa che avevano acquistato un po’ più in alto della vecchia. Lei voleva un giardino e un orto che ora finalmente poteva curare con amore. Le ragazze intanto avevano preso il volo, ma tornavano con mariti, compagni e figli e la nuova casa accoglieva tutti. Andare da loro ti faceva bene al cuore. Non credo abbiano mai chiuso a chiave la porta d’ingresso in tanti anni e il viavai era costante.

Lo è stato anche in questi ultimi mesi, quando Mario si è ammalato in modo irreparabile. Non è bello vedere un leone ferito che combatte nonostante tutto, ma nessuno lo ha abbandonato. C’era l’amico che arrivava ogni mattina con i cornetti e un saluto, le visite dei tanti amici e conoscenti, l’altro amico milanese in vacanza che dal porto ha fatto trasportare la barca di Mario nel giardino, le figlie, Cilla al suo fianco, paziente di fronte ai tanti momenti di rabbia che i malati come lui provano. E c’eravamo anche noi, mio marito e io.

Mancherà non incontrarlo più in paese, non scambiare due parole con lui, non sentire più la sua risata da forte fumatore durante i tanti momenti conviviali, non godere della sua generosità e ospitalità. Non condividere i tanti ricordi comuni, forma e sostanza di una lunga e stretta amicizia. Spero che dall’altra parte Mario trovi un mare calmo e un vento lieve. Spero che ogni dolore scompaia e ci sia solo una grande luce, un’alba senza fine come quelle che incontrava di ritorno da una notte di pesca al largo. Noi continueremo a ricordarlo, a parlare di lui, a sentirlo vicino. A ringraziarlo per questi anni insieme e per essere stato, semplicemente, il nostro amico Maruzziello.

 

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