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Data

12 February 2023

Scritto da

Francesca Battistella

Birmania

Indelebili ricordi di un viaggio nella gentilezza.

Mi sembra incredibile che siano già trascorsi dieci anni dal mio viaggio in Birmania (Myanmar) del 2013 fatto in compagnia di un carissimo amico. Se non avessi un numero indefinito di foto che testimoniano quei giorni mi sembrerebbe quasi un sogno. Erano secoli che non volavo così lontano dall’Europa e in verità, se il mio amico non avesse insistito, avrei continuato a sognare di partire senza farlo. Con il passare degli anni - e non penso succeda solo a me - immaginare un luogo così lontano risulta più soddisfacente che salire su un aereo e restarci per undici o dodici ore pieni di aspettative, ma anche anchilosati dalla scomodità di simili trasferte in classe turistica. Però, alla fine, mi sono decisa, sebbene con non poca angoscia al pensiero che, voli per e dalla Thailandia a parte, nulla era stato organizzato se non i visti per entrare in Birmania.

L’arrivo all’aeroporto internazionale di Bangkok è stato uno shock. Lo ricordavo dai miei viaggi negli anni ‘80 come un grande capannone dal tetto in lamiera nel mezzo del nulla. Ora, invece, chilometri di tapis roulant portavano i passeggeri dagli arrivi all’uscita avvolgendoli nel soffio polare dell’aria condizionata. Luci sfolgoranti, specchi, musica soffusa, bar, ristoranti, negozi e migliaia di persone. Fuori, il caldo umido, soffocante e appiccicoso dei tropici, l’odore cattivo dei fumi di benzina e altre migliaia di persone che trascinavano trolley, vagavano, parlavano, correvano. Un taxi e un tragitto di almeno un’ora per raggiungere l’albergo dove avremmo trascorso una paio di giorni prima della grande avventura. Giorni che ci avrebbero permesso di vedere qualcosa di Bangkok: il Palazzo Reale, ad esempio, e la casa museo di Jim Thompson, stravagante personaggio, ex ufficiale dell’OSS, servizio di spionaggio inglese, imprenditore della seta, nato nel 1906 e forse morto nel 1967, in realtà scomparso nel nulla. Oggi, la casa che aveva costruito per accogliere la sua straordinaria collezione di porcellane e altri manufatti provenienti da Laos, Birmania, Cambogia e Thailandia, è una Fondazione e un’oasi di pace al centro di questa metropoli convulsa e inquinata.

Senza troppa fatica riuscimmo a comprare i biglietti per Yangon, nostra prima destinazione in Birmania. Lì avremmo contattato un agente di viaggio locale per il tour che avevamo in mente. La partenza da Bangkok fu un incubo. Una pioggia torrenziale, condita da una serie di incidenti stradali, fece sì che arrivassimo in aeroporto poco prima della chiusura del gate.

Credo di non aver mai corso così in fretta in vita mia! E la pioggia ci seguì fino a Yangon, nell’alberghetto prenotato su internet - un terribile errore di valutazione. La nostra stanza aveva l’aspetto di un loculo affacciato su una distesa di tetti piatti, dove mute di cani facevano la guardia a Dio sa cosa. Ad agosto, a Yangon la pioggia attacca a scendere alle quattro del pomeriggio e continua, implacabile e copiosa, fino alle dieci di sera. L’umidità è spaventosa, la gente sorridente, il lago Inya delizioso - la villa dove è rimasta a lungo rinchiusa Aung San Su Ky è lì sulle sue sponde - la grande pagoda Shwedagon un luogo magico; il nostro agente di viaggio, disponibile ed efficiente, alla chiusura del contratto ci offre un pranzo squisito cucinato dalle sue figlie e il giorno dopo si parte. Prima tappa il lago Inle che si rivelerà una delle mete più interessanti dal punto di vista naturalistico ed etnografico. Una giornata intera passata in barca a visitare villaggi su palafitte, templi e coltivazioni. E un ritorno segnato dall’ingresso di un poderoso temporale. Poi è stata la volta di Mandalay, l’antica capitale del regno, con il bel palazzo reale conservato come un gioiello all’interno di un quadrilatero delimitato da un canale.

Qui, qualche problema con l’albergo, vecchio e inquietante. Una gran fatica per trasferirci altrove, ma alla fine ce l’abbiamo fatta e come premio ci siamo concessi una squisita cena vegetariana in un ristorante nascosto in un vicolo della città. Di sicuro, però, il punto culminante del viaggio sono stati i templi di Bagan - circa tremila disseminati su una vasta pianura arida - e l’incantevole albergo che ci ha accolti, il favorito dell’ex re Edoardo VIII e Wallis Simpson.

A loro è dedicato un salone per ricevimenti. Il Bagan Hotel non ha stanze convenzionali ma una serie di bungalow lungo il fiume Irrawaddy e la colazione servita all’aperto, sotto le fronde di giganteschi alberi banyan.

Il giorno della partenza, seduta davanti al mio caffè del mattino e alle mille altre bontà offerte, ricordo di essermi guardata intorno con le lacrime agli occhi e la pena di chi deve lasciare un luogo di pace e serenità che forse non rivedrà mai più. Però l’incanto della Birmania non risiede soltanto nei luoghi straordinari che abbiamo visitato o nella sua lunga e travagliata storia, ma nella dolcezza, nell’ospitalità e nella gentilezza ricevute a ogni tappa dai birmani.

Oggi mi dispiace non aver fotografato un incredibile cartello il cui succo era più o meno questo: Cari cittadini del Myanmar, accogliete con amore e riconoscenza i turisti che sono una delle nostre principali fonti di ricchezza.

Se qualcosa ci aveva colpiti negativamente era stato l’atteggiamento protervo e violento delle forze dell’ordine, un atteggiamento che prescindeva dall’essere o meno turisti e si manifestava in frasi urlate e un comportamento sprezzante di fronte a richieste legittime. Come quella di vedere il tramonto dal tetto di uno dei più grandi templi di Bagan, una visita libera gli altri giorni, a pagamento a quell’ora. Al nostro chiedere: perché? la reazione del poliziotto ci ha spaventati per l’aggressività sproporzionata. Ogni Paese - e alcuni più di altri - presenta al suo interno insanabili, e talvolta incomprensibili, contrasti. Forse in Birmania essi appaiono ancora più marcati e assurdi vista la mitezza dei suoi abitanti. Mitezza reale o apparente? Dopo tutto, a scatenare i grandi movimenti di rivolta contro i regimi totalitari birmani sono stati sovente i monaci buddhisti, gli ultimi che ci si sarebbe aspettati di vedere scendere in piazza e protestare con veemenza.

Per noi stranieri rimane comunque un mistero come la Birmania possa accogliere al suo interno tanta dolcezza e tanta violenza allo stesso tempo, come fosse abitata da due popoli differenti e non da uno solo - ricordiamo però quanto successo all’etnia Rohinga in tempi recenti.

Ma questo è solo un racconto di viaggio, una serie di ricordi a cui attingere nelle giornate grigie e un filo tristi. Ricordi di luce e calore, di bellezza e storia, di fede e calma interiore. Ricordi che non hanno bisogno di essere riparati, per una volta! E comunque, alla fine, sul tetto di un altro tempio, siamo riusciti a salutare, in compagnia del nostro autista, una delle più belle mete della Birmania mai visitate.


Piccolo esercizio per chi vuole

C’è un viaggio particolare che vi portate nel cuore e al quale fate ricorso per rasserenarvi nei momenti bui?

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