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Data

26 January 2023

Scritto da

Francesca Battistella

Una lingua e una religione per riparare ricordi e conservarli Shtisel

Shtisel. Come il ricordo di un tempo remoto riesce a vibrare potente nell’esistenza attuale di una comunità religiosa.

Ho raggiunto un’età in cui mi risulta sempre più difficile guardare al cinema o alla televisione qualcosa che davvero mi piaccia per argomento, originalità, bravura nel recitare degli attori. 

Alle immagini sullo schermo - piccolo o grande che sia - preferisco la lettura di un buon libro (anche qui, però, può capitare d’incappare in volumi noiosi o banali, almeno per me). È vero che oggi l’offerta di film e sceneggiati è vastissima, basta vedere cosa offrono canali come Netflix o Prime Video. Do un’occhiata ai titoli e alle trame, leggo sui social i commenti di persone la cui opinione stimo, ne parlo magari con amici fidati, mi consiglio con il marito che fa zapping e alla fine decido che un libro è sempre meglio.

Ma ultimamente, il giornalista e conduttore televisivo svizzero Michele Fazioli, che seguo con vero piacere ogni primo martedì del mese durante gli incontri del Circolo dei libri all’Hotel Castagnola di Lugano Cassarate, ha menzionato uno sceneggiato su Netflix che lo aveva colpito e lo ha fatto in modo così entusiasta da convincermi a vederlo. È Shtisel, una serie TV scritta dagli israeliani Ori Elon e Yehonatan Indursky e ambientata a Gerusalemme nel quartiere abitato dagli ebrei Ultraortodossi, gli Haredìm, di Geula. Sono tre stagioni complete, le prime due girate a partire dal 2013, l’ultima più recente e si nota: alcuni dei protagonisti sono palesemente invecchiati rispetto alle prime due.

Da noi è arrivata nel 2018 e, preparatevi, non è doppiata. Si ascolta in originale con i sottotitoli in italiano. Ma non basta. Gli attori recitano in ebraico e in yiddish. Vi garantisco che dopo un po’ ve ne accorgerete anche voi.

È una serie intelligente, ironica, dolce-amara, estremamente umana, dove non si parla di politica. Un perfetto spaccato della vita quotidiana di persone che trovano nella fede e nella lettura dei sacri testi - Talmud e Torah - le regole per vivere. Un mondo lontanissimo non solo da noi, ma dai loro stessi conterranei non ortodossi. Pare infatti che, in Israele, la visione della serie abbia in qualche modo riavvicinato ortodossi e laici.

Gli Haredìm si vestono ancora come facevano duecento e passa anni fa negli shtetl dell’Europa Centrale o della Lituania, la maggior parte di loro studia o insegna nelle scuole ebraiche religiose (yeshivah) o svolge professioni ammesse dal loro credo. Il cibo che acquistano e cucinano deve essere kosher, le carni macellate secondo quanto prescritto dai sacri testi. I matrimoni vengono ancora combinati da un sensale. Le donne portano una parrucca perché mostrare fuori casa, in presenza di estranei, i propri capelli è disdicevole. Gli accomodamenti con il mondo attuale sono pochi. Niente televisione, questo è certo. Radio sì, ma che siano i loro programmi o musica classica. I cellulari sono ok - e chi ne può più fare a meno! Viaggiare va bene, guidare per le donne un po’ meno. La riproduzione di immagini pittoriche è ammessa, ma anche qui dipende.

Pertanto, seguire le vicende della famiglia Shtisel è come tuffarsi in un universo nuovo e mirabile dove noi spettatori abbiamo tutto da imparare, e dove il ricordo di un tempo ormai remoto vibra potente in ogni aspetto dell’esistenza dei protagonisti.

Ecco dunque Shulem Shtisel, il padre sessantenne, professore in un liceo ortodosso, simpatico, sornione, un po’ fanfarone a volte, vedovo da qualche anno dell’amata moglie D’vorah e alla ricerca di una nuova compagna per scegliere la quale si affida al proprio insaziabile appetito. Nel senso che va a pranzo dalla prescelta di turno appena può. Con lui vive l’ultimo nato, il ventiseienne Akiva, bello e tenero, con occhi da agnello e come un agnello di grande mitezza. Bravissimo pittore, lo seguiremo nelle peripezie della vita, nei tentativi del padre di trovargli una moglie grazie al sensale Köningsberg, in amori che muoiono sul nascere o muoiono davvero, ma non disperate. E poi c’è sua sorella Giti, con la primogenita sedicenne Rucheli, gli altri cinque figli da curare, il marito Lippe - il meno ortodosso fra loro - macellaio kosher che parte per l’Argentina e sembra non torni più visto che ha incontrato un’altra, ma lo rivedremo amorevole e pentito di nuovo in seno alla famiglia. E nel frattempo, Giti dimostrerà di essere una donna combattiva anche se terribilmente rigida. E la nonna Malka, mamma di Shulem, ormai in un ricovero per anziani dove può finalmente avere una televisione in camera. E siccome è la prima volta che le succede, scambia il serial Beautiful per una storia vera e si appassiona così tanto da mandare anche ai suoi protagonisti le benedizioni di rito.

Questi i personaggi principali ai quali, puntata dopo puntata, se ne aggiungono altri, mentre noi seguiamo le vicende della famiglia, piccoli e grandi eventi che possono capitare a chiunque, quasi sempre niente di eclatante.

Quello che mi ha colpita e commossa non è solo la fede incrollabile con cui ciascuno di loro affronta l’esistenza, ma la forza di una memoria condivisa, l’aggrapparsi con anima e corpo a tradizioni, usi, costumi forse per noi obsoleti e ridicoli, ma per loro essenziali e che di sicuro danno coesione alla comunità. Certo non sempre i nostri eroi sono buoni e gentili, non sempre si comportano come dovrebbero, ma sono esseri umani, non dimentichiamolo. E nei momenti difficili - una bella intuizione dei creatori della serie - a venirgli in soccorso sono i fantasmi dei loro morti, più vivi, ironici e presenti che mai. Come il grillo parlante di Pinocchio li sgridano, lo confortano, parlano con loro. Riparano e fanno rivivere ricordi di un’esistenza passata, ma ancora viva e presente. Sono questi fantasmi e gli anziani a parlare in yiddish, ma non solo. Persino ai bambini viene insegnata questa lingua di un lontanissimo passato perché non dimentichino. E insieme alla lingua e in questa lingua, vengono narrate le storie dei più famosi rabbini, favole di un mondo perduto per tutti, tranne che per loro.


Un esercizio per chi vuole: E voi avete una lingua segreta, magari fatta di immagini o suoni o profumi che vi aiuti a ricordare favole belle o persone amate?


Foto di Tech Daily su Unsplash

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