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Data

21 January 2023

Scritto da

Francesca Battistella

Piccoli esercizi di serenità attraverso la memoria

Da sei anatroccoli segnaposto alla gioia della convivialità il passo è breve. Assaporare le belle memorie.

SEI ANATROCCOLI

Sei anatroccoli segnaposto in peltro vivono da anni sulla piccola specchiera del mio bagno. Mia nipote Cecilia, da bambina, quando trascorreva qualche giorno con noi, si divertiva a risistemarli in un ordine diverso dal mio ben sapendo che la cosa m’infastidiva. 

Benché non sia il sangue a unirci, ma l’amore, siamo ambedue afflitte dal demone del Controllo. Sospetto inoltre che per lei fosse un modo di lasciare un segno del suo passaggio. Il ri-allineamento degli anatroccoli era un messaggio tanto di possesso quanto di appartenenza: questa è anche casa mia, nonna cara. Oggi ne sento nostalgia. Vediamo poco lei e suo fratello. La scuola, gli impegni di ogni adolescente, il lavoro della mamma, tutto sembra congiurare contro i nostri incontri, scambi, discussioni, giochi e racconti. Gli anatroccoli mi guardano e strizzano l’occhio: Cecilia è ancora qui, tranquilla. Manca anche a noi, ma se vuoi possiamo scambiarci di posto come piaceva a lei.

Sei anatroccoli segnaposto. Buffo, no? Ricordate? Quando il malefico Virus ha mollato un po’ la presa ci si poteva sedere a tavola al massimo in sei e ora mi chiedo se la mia amica torinese Lella, che me li regalò vent’anni fa per sottolineare il mio spirito conviviale, non abbia avuto una qualche premonizione di quei tempi grami. Lei che era un po’ strega e di sicuro donna di profonda sensibilità, considerava la nostra casa come una locanda della felicità e del buonumore dove ciascuno doveva sentirsi a proprio agio. 

E ragionando sulla convivialità mi viene spontaneo pensare ai banchetti.
Perciò mi sono divertita a svolgere una piccola ricerca per scoprire in che epoca i segnaposto sono apparsi sulle tavole apparecchiate. Ricerca, ahimè, infruttuosa perché nulla ho rinvenuto nel merito, però grazie a quel concetto chiamato ‘serendipity’ ora so che nell’antica Roma, nel corso di banchetti importanti, i posti venivano assegnati secondo il prestigio personale e l’ospite di maggior riguardo aveva diritto a sedere a sinistra sul triclinio centrale (locus consularis) con il padrone di casa alla sua destra. Che l’invitato aveva facoltà di portare con sé un ospite o più (umbrae) il quale non sedeva con gli altri commensali, e che di rado le donne erano presenti. La faccenda delle umbrae ha suscitato in me un ulteriore ricordo conviviale. Nella casa dei miei genitori non c’era fine settimana senza una cena o un pranzo con diversi invitati. Di solito si sapeva in quanti ci saremmo seduti a tavola tranne in un caso: se veniva invitata una coppia di amici, famosi per arrivare quasi sempre con altri ospiti al seguito. E la scusa - o se preferite la spiegazione - era la seguente: li abbiamo incontrati venendo da voi, mica li potevamo lasciare per strada. Mia madre non batteva ciglio. Come nella commedia musicale del 1974 di Garinei e Giovannini, si aggiungevano uno e più posti a tavola, ci si stringeva (niente distanziamenti da Covid all’epoca) e si andava avanti. Immagino quindi che dalla Roma avanti Cristo ai miei giorni poco fosse cambiato, non solo in quanto a desiderio di stare insieme intorno a un tavolo con buon cibo, buon vino e discorsi interessanti, ma anche in merito alla curiosità di incontrare persone nuove o rivedere vecchie conoscenze con le quali ci si era persi di vista. Ma andiamo avanti.
Nel Medioevo nacque l’uso di una tavola alta per accomodare ospiti di riguardo e padroni di casa e si cominciò a distinguere fra banchetti festivi e banchetti politici legati, questi ultimi, allo stabilirsi o allo sciogliersi di alleanze fra sovrani, nobili e alti prelati. Infine, nel Rinascimento, un po’ come nella Roma antica, si capiva a quale categoria sociale o gerarchia apparteneva l’ospite dal posto che gli veniva assegnato alla tavola del principe: più o meno lontano da costui. E le donne, tanto per cambiare, venivano spesso relegate alla tavola bassa, ignorate e mal servite.
Questo ha evocato l’ennesima memoria della mia infanzia. Nata e a lungo vissuta nell’Italia del Sud, ricordo come fosse normale durante pranzi a casa di persone del luogo, essere serviti dalle donne più giovani della famiglia che non sedevano a tavola con noi, cosa che mia madre, sempre attenta ai diritti di tutti, donne in primis, deprecava con accanimento. 

Oggi che la mia amica Lella è volata via da tempo, i suoi anatroccoli eleganti la riportano a me con gratitudine: la mia prima amica in una Torino estranea, una specie di Virgilio al femminile - lei che adorava Dante e aveva persino scritto un libro in cui Inferno, Paradiso e Purgatorio diventavano uno sterminato campo da golf - grazie alla quale ho passato i quattro anni più folli e divertenti della mia vita. Lella e il mio amato compagno, amici fra loro fin dai tempi della scuola. 

Sei anatroccoli come se ne vedono tanti, a ogni inizio d’estate, sui laghi, il lago d’Orta e quello di Lugano, ad esempio. Allineati e ciarlieri dietro mamma anatra. Si sparpagliano, si ricompattano, pigolano. Sono il simbolo acquatico della vita che ricomincia a ogni nuova stagione. Fanno allegria e tenerezza. Suscitano speranza e commozione, pensieri positivi e consolanti mentre entriamo nell’inverno, le giornate si accorciano e il virus non dà tregua. Dobbiamo continuare a ripeterci che siamo parte di un flusso, di un’onda: si precipita e poi si risale. Riprenderemo fiato e tornerà la primavera.
Intanto, ogni giorno, appena sveglia ho la fortuna di poter vedere i miei sei anatroccoli segnaposto e dire grazie a un ricordo sereno.

 

Un esercizio per chi vuole:
Chiudete gli occhi e provate a ricordare un momento conviviale qualsiasi, il luogo in cui si è svolto, le persone presenti, il cibo consumato, il suo sapore e quello del vino se non siete astemi. E se fra le persone presenti allora qualcuna non c’è più, non disperatevi. Rievocate, invece del dolore, la loro voce, le cose che vi dicevate, gli interessi in comune, in una parola l’eredità di pensieri e affetto che vi hanno lasciato e che nessuno, neppure la morte, potranno mai distruggere. Riparate il vostro ricordo e sorridete.

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